Assegnato a Narges Mohammadi il Premio Nobel per la pace 2023 da parte del Comitato per il Nobel norvegese, composto da cinque persone scelte dallo Storting, ossia il parlamento norvegese. Il Premio Nobel per la pace viene assegnato a un vincitore o a più di uno (fino a un massimo di tre), proprio come accadde nel 2022 quando venne assegnato ad Ales’ Viktaravič Bjaljacki, alla Memorial e al Centro per le libertà civili. Il vincitore infatti può essere o una persona o addirittura un’organizzazione e quest’anno è spettato, per la sua battaglia contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e delle libertà per tutti, a Narges Mohammadi. Nasce nel 1972 a Zanjan ed è un’attivista iraniana in carcere da diversi anni (arrestata 13 volte e condannata 5 volte per un totale di 31 anni e 154 frustate), attualmente vice-presidente del Centro per la difesa dei diritti umani, fondato dal Premio Nobel per la pace 2003 Shirin Ebadi, anch’essa iraniana, prima donna del suo Paese a ricevere tale riconoscimento. Si può quindi affermare che Mohammadi è sua degna erede nelle sfide da Ebadi perseguite. Ha condotto le sue battaglie sin da giovane, motivo per il quale è stata più volte in carcere. È passato poco più di un anno dalla morte di Masha Amini, diventata il simbolo della brutalità, della violenza e dell’oppressione perpetrata nei confronti delle donne in Iran. Poco più di un anno e dal mondo arriva un nuovo messaggio verso la terribile realtà sociale di quelle terre. Quel messaggio porta il nome di Narges Mohammadi, 51 anni. Attualmente soffre di una malattia polmonare molto grave, la quale le causa difficoltà respiratorie e pare, purtroppo, che non le facciano pervenire le cure mediche necessarie a placare le sue sofferenze. Lotta da sempre per l’affermazione nel suo paese del principio di uguaglianza, di democrazia e di libertà, per l’abbattimento della discriminazione di genere e per maggiori libertà in favore delle donne, con particolare riguardo, in quanto rappresenta il suo cavallo di battaglia, all’abolizione dell’obbligo dello hijab, ossia il velo islamico imposto dalla legge. I fatti ci espongono ad una cruda realtà ma Mohammadi è riuscita ancora una volta ad abbattere i muri che le sono stati posti dal suo regime. “Il sostegno globale e il riconoscimento della mia difesa dei diritti umani mi rendono più risoluta, più responsabile, più appassionata e più fiduciosa. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano per il cambiamento, più forti e più organizzati. La vittoria è vicina”. Questo sembra essere stato il suo messaggio giunto al New York Times dopo l’attribuzione del premio.